William Stern definisce l’intelligenza come la capacità generale di adattare il proprio pensiero e la propria condotta di fronte a situazioni nuove. Si tratta di una definizione mutuata da Claparède, il quale afferma che l’intelligenza è la capacità di risolvere problemi nuovi con l’aiuto del pensiero.
Secondo Wherteimer e Kholer, l’intelligenza è la capacità di ristrutturare , riorganizzare, riordinare i dati, gli schemi, le percezioni, i problemi, in modo diverso.
Alcuni sostengono che l’intelligenza sia influenzata solo da fattori ereditari, altri ancora che dipenda da fattori ambientali.
Nel corso nel ventesimo secolo sono state sviluppate molte teorie per la definizione e la misurazione dell’intelligenza.
Risalendo ancora indietro nel tempo, il primo approccio allo studio dell‘intelligenza fu da parte di Sir Francis Galton. Cugino di Darwin, fu molto influenzato dalle sue teorie e fondò quello che viene definito darwinismo sociale. Egli creò il primo test standardizzato per misurare l’intelligenza, attraverso l’analisi di eugenetica ed ereditarietà. Nel testo ” Indagine sulle capacità umane e suoi sviluppi” del 1883, Galton ipotizzò che ci fosse una correlazione tra l’intelligenza e variabili di tipo fisico.
Gli psicologi francesi Alfred Binet e Théodore Simon, nel 1905, pubblicarono la scala Binet-Simon, un test di intelligenza incentrato sulle abilità lessicali dei bambini in età scolare, per misurarne l’età mentale o identificare un eventuale ritardo.
Nel 1912, lo psicologo William Stern coniò il termine QI , che era il risultato della formula (età mentale/età biologica)*100.
Lewis Terman, come Stern, riteneva che l’intelligenza si dovesse misurare con un quoziente e perfezionò la scala Binet-Simon, che prese il nome dall’università dove lavorava, la Stanford-Binet Intelligence Scale, che però si rivelò di difficile utilizzo su di un pubblico adulto.
Nel 1939, David Wechsler ideò il primo test d’intelligenza per adulti, la scala Wais, che nel corso degli anni è stata rivista più volte, introducendo prove nuove.
Nel 2008, sono stati introdotti l’indice di comprensione verbale (ICV), l’indice di ragionamento visuo-percettivo (IRP) , l’indice di memoria di lavoro (IMC) e l’indice di velocità di elaborazione ( IVE). Le scale Waiss si basano non su un quoziente, ma su punteggi e permettono di valutare i processi cognitivi sottostanti al funzionamento di pensiero, memoria, esame di realtà, capacità di pianificazione.
Altri test, molto usati ancora oggi, sono il test di Cattel e le matrici di Raven, che si basano solo sulle capacità logico-deduttive, eliminando ogni influenza culturale-verbale.
Binet e Wechsler avevano un’idea di intelligenza globale-unitaria. Sulla stessa onda di pensiero si colloca Charles Spearman, il quale sosteneva l’esistenza di un unico fattore globale d’intelligenza ( il fattore G), che interveniva in molte attività, senza specializzarsi in alcuna di esse. Vi erano, poi, dei singoli fattori che si specializzavano in singole abilità , come le attività meccaniche, verbali, numeriche, spaziali, i fattori S.
La teoria bifattoriale dell’intelligenza di Spearman gettò le basi per una nuova tappa nello studio dell’intelligenza.
Luois Thurstone si oppose ai modelli di intelligenza unitaria e gerarchica, negando l’esistenza di un fattore G, al quale sarebbero subordinate le altre facoltà mentali. Egli propose la teoria delle sette attitudini primarie comprensione verbale, fluidità verbale, abilità numerica, visualizzazione spaziale, memoria associativa, velocità percettiva, ragionamento. L’intelligenza, dunque, sarebbe formata da 7 fattori indipendenti tra loro e non riconducibili ad una singola dimensione di livello superiore.
Nel 1961, lo psicologo Philip E.Vernon scompose il fattore G in 2: l’abilità verbale-scolastica e l’abilità meccanico-spaziale. La prima era influenzata dalla scolarizzazione ed atteneva ai processi logici, matematici, verbali. La seconda, indipendente dalla scolarizzazione, era attinente all’uso delle macchine, alla manipolazione, all’immaginazione visiva.
Raymond Cattel, invece, ispirandosi alla teoria bifattoriale di Spearman, fa una distinzione tra due tipi di intelligenze: quella fluida che consiste nella capacità di adattarsi ed affrontare nuove situazioni in modo flessibile e dipende da fattori genetici e dello sviluppo dell’individuo; quella cristallizzata, che dipende in larga misura dall’apprendimento, della precedente esperienza, dall’ambiente culturale di provenienza. Un soggetto, in pratica, sviluppa l’intelligenza cristallizzata nella misura in cui investe la sua intelligenza fluida in attività di apprendimento.